8 giu 2012

Staccate vs Taccate: io staccata per sempre.

Sono staccata da una vita, credo proprio per vocazione e per destino.

Ricordo che mia madre aveva solo un paio di stivali di un beige inguardabile di pelle morbida, che avevano un tacco, forse di 5 centimetri. Io li guardavo semi-schifata ed incuriosita e pensavo che "queste cose così" non le avrei mai messe. 
Perchè? Perchè l'unica volta che ho avuto l'ardore di indossarli, di nascosto e come solo una quattrenne può fare, ho preso una storta che mi fece piangere dal male ; non dico che me lo ricordo, ma mi è stato ricordato per molto tempo. 
Il mio primo contatto con il tacco si riassume così: scomodi loro e imbranata io.
Poi sono cresciuta, pensando sempre che non mi sarei mai avvicinata ai pericolosi tacchi. Ma un giorno, avevo circa 11 anni, il momento del mio primo vuoto bikini portato con fierezza, mi hanno regalato un paio di zoccoletti. 
Ricordo con un brivido il tacchetto di questi zoccoli, solo a guardarli facevano vacillare il mio equilibrio e infatti, una volta indossati ho fatto un volo di quelli che ti rimangono dentro per anni, mi sono impietosamente spalmata a terra, davanti agli amichetti estivi. 
In quel momento, il tacco ha assunto un'altro significato: bastardi loro e goffa io.

Non ho più indossato i tacchi fino a quando con il gruppo di amiche di sempre, ci siamo comprate delle orribili scarpe con la punta squadratissima e con un grosso tacco da  10 centimetri. 
Sembravano scarpe ortopediche da sera, ma facevano tanto "adolescente grande", che non ho resistito.
Battezzate anche queste appena messe con una slogatura. 
Il mio rapporto con il tacco non si è più ripreso: sono incapace.

(ndr: io non inciampo, sia chiaro, c'ho la caviglia debole. incespico spesso, ecco. pure da ferma.)

Ho giurato a me stessa che avrei voluto sempre e solo scarpe senza tacchi che sono scomodi e bastardi
Non fanno per me, sono imbranata, goffa e incapace a camminarci e mi destabilizzano troppo, dentro e fuori. 
Non mi sono mai fermata a guardare una scarpa con un tacco pensando di volerla avere o che fosse bella. MAI. 
Non so cosa mi spinge a rifiutare il tacco, non credo siano le cadute e so che non è un problema che riguarda la mia femminilità, sono solo certa che non mi passa minimamente per l'anticamera del cervello di usarlo.

Ci sono tre scarpe alle quali sono stata legata, e non lo dico così per dire, ma perchè descrivono perfettamente i periodi della mia vita e le ricordo con un sorriso e un pizzico di nostalgia.

Un paio di polacchini scamosciati grigi, disegnati e stra-decorati, pieni di simboli della pace, disegni di rasta e spillette di Bob Marley. Usate fino a bucarle.
Queste le ho portate,  per  il mio periodo molto... come dire?... indisciplinato e jamaicano. 
Polleggiavo in giro a ritmo di reggae e pensavo che la vita fosse tutta un grosso relax. Le scarpe mi davano pure ragione: erano comodissime, sembrava di non averle nemmeno addosso.
Naturalmente tutta la "compa" le indossava, eravamo più o meno tutti spudorati e scrivevamo sulle scarpe e sugli zainetti, ciò in cui ci riconoscevamo: non ho mai ben capito cosa, ma ci credevamo.

Negli stessi anni portavo anche gli anfibi, non potevano mancare quando andavo in curva allo stadio del ghiaccio.
Mi sentivo proprio fichissima: sciarpetta degli Ultrà, jeans e anfibi. Ero la più felice del mondo. 
Pulivo i miei anfibi con una sostanza strana (grasso? crema?), non mi ricordo cosa per la precisione, ma so che li lucidava e ne nutriva la pelle. 
Questa era l'unica "regola" che mia madre mi imponeva e siccome era una richiesta per me "ragionevole", lo facevo senza lamentarmi più di tanto.
Mi viene da sorridere se penso a come mi prendevo cura di 'sti scarponi, come li chiamava mia madre, ma non mi spolveravo le mensole o la scrivania in stanza, nemmeno previa corruzione con qualche biglietto da mille lire. 

(Che periodo di lotte che mi è venuto in mente! Il sorriso di prima si sta trasformando in una risata semi-isterica. Comincio realmente a sperare che mia figlia non abbia preso troppo da me, suo padre era così bravino...)

Poi sono arrivata all'età della consapevolezza. (hehehe) 
Età in cui mi sono resa conto che sculettando un po' di più, avrei ottenuto di più. Magari solo un po' più di attenzione, nulla di particolare eh, ma ho cominciato a sentire che l'essere donna, faceva parte di me e mi piaceva pure. 
Morale? Ho cominciato a svestire i panni informi della "fricchettona" mezza jamaicana  e mezza Ultrà, per lanciarmi in un nuovo mondo: le scarpe (staccate) dalla forma squadrata o arrotondata, che fossero femminili ma comode e originali, mi hanno accompagnato in quegli anni.
In quel periodo spendevo una fortuna, appena arrivavo in un posto, andavo a comprare scarpe: al mare, in città, in montagna o al lago, mi fiondavo febbrilmente e sempre nei negozi di scarpe e facevo razzia. Il primo regalo che ho fatto a mio marito? Un paio di scarpe!

Ho avuto una scarpa di vernice nera che ho usato per moltissimi anni, Pollini. 
Se chiudo gli occhi la posso ancora vedere e posso sentire ancora l'Amore che provavo.
Meravigliosa è dire poco.  La potevo mettere coi jeans e anche con qualcosa di più elegante. 
Quando l'ho buttata era "sdrenata", la suola che avevo fatto rimettere era di nuovo lisa e non potevo più nascondermi il fatto che puzzassero pure.
È rimasta nella scarpiera per un sacco di tempo (con le palline deodoranti dentro) senza che io la potessi mettere, ma non avevo il coraggio di buttarla. 
Poi un giorno, presa da un bisogno conscio ed inconscio di tagliare con il passato, le ho buttate. 

Parlando ancora di scarpe poi, un giorno ho incontrato una persona, che mi ha "analizzato" per le scarpe che portavo (vorrei precisare che era un discorso fatto con una persona completamente lucida, una persona un po' strana, ma lucida).
Diceva che io portavo le scarpe basse perchè avevo bisogno di sentire la terra sotto i piedi, avevo e ho (aggiungo io), bisogno di sentire tutti i miei passi. 
La scelta delle scarpe rappresentava un qualcosa che andava oltre. 
Non so se è la verità, fatto sta che anche quando mi sono sposata avevo le ballerine, ho fatto inorridire i commessi del negozio in cui sono andata a sceglierle, ma io sono stata fierissima di indossare le mie scarpe color avorio staccate. Mi sentivo sicura non solo per il "passo" che stavo per compiere ma per i "passi" che avrei dovuto fare.

Concludo: io amo le scarpe. 
Le MIE scarpe. 
Magari pure malridotte, ma le MIE: che calpestano, mi proteggono, mi accompagnano e si consumano.

Ringrazio l'iniziativa "Staccate versus Taccate" che mi ha fatto capire quanti passi ho fatto e come li ho fatti: scalza a contatto con la terra, con scarpe nuove e con scarpe malconce, con equilibrio, senza equilibrio, con passo sicuro o con passo incerto.

Negli anni le scarpe sono cambiate ma i miei passi sono tutti lì, nei miei piedi che ringrazio pubblicamente per non avermi ancora abbandonato.

Foto presa da qui

Franci

Ps. forse avrei dovuto parlare delle scarpe che uso da quando sono mamma, ma non c'è nulla di molto interessante da dire: sono finita a parlare di scarpe del passato e dei miei piedi di oggi. 
Comunque, per informazione, amo le ciabatte comode e fresche per stare in casa e le scarpe da ginnastica per uscire, non disdegno le ballerine e i sandali in estate e mi sento Donna, pratica, semplice e che ama essere "terra terra".
Non ce l' ho con chi porta i tacchi, ma penso sempre che chi mi dice che portare un tacco 12 sia come mettere una pantofola, me la stia raccontando un po'; tanto non potrò mai veramente scoprirlo e allora abbozzo un sorriso, alzo le suole e me ne vado. 


8 commenti:

  1. Questo post è commovente, nell'accezione più nobile del termine. Senza nulla togliere a chi ti ha preceduta, penso che sia in assoluto il più completo sull'argomento. Non importa un fico secco che non parli nello specifico della maternità. Bello bello bello bello. Lo linko con orgoglio nella pagina del mio blog.
    Grazie Franci!

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    1. È stato un onore! Grazie a te per avermelo chiesto :)))

      Non capisco bene però, perchè finisco sempre a filosofeggiare... e sì che il periodo dei polacchini è passato da tempo!!!

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  2. Guarda, Franci, la filosofia del tacco è la reale essenza di Staccate versus Taccate. Lieta che tu l'abbia colta in pieno!

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    1. ho riletto..... che ricordi che sono riaffiorati!!!

      Oggi vorrei tornare indietro per qualche ora a molti anni fa!

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  3. Belle riflessioni, davvero. Il tuo vate delle scarpe forse ha ragione, nel mio essere taccata c'è molto la volontà di tenere la testa tra le nuvole, cosa che non sarebbe nella mia natura. Comunque non direi mai che un tacco 12 è facile come una ciabatta, con fatica se ne trova di comodi ma insomma, è proprio sfidare la fisica!

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    1. io conosco persone che lo dicono e sono pure convinte che faccia figo! tipo: soffro e mi vengono le vesciche ma non lo dirò mai, nemmeno sotto tortura!
      un po' come quelle che sono acciughe e dicono che si "scofanano" un tiramisù al giorno ;)

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  4. Ma che bello questo post e che bella l'interpretazione della devozione alle scarpe basse... dopo averti letto non mi sento più in colpa per la mia avversione ai tacchi (e non potrò trattenere un sorriso davanti ai curatissimi anfibi delle mie alunne :-D)!

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